QUANDO C’ERA IL COVID…

Quando tutto cominciò nel mondo c’era il covid. L’Italatletica di Alfio Giomi non potè godersi il momento dal vivo.

Dobromir era stato chiaro. La proposta di Roma aveva convinto tutti, e c’era quell’anniversario tondo tondo da celebrare. E poi l’Italia: tutti guardavano al nostro Paese conm ammirazione perchè da nessun altra parte erano stati capaci di gestire l’emergenza sanitaria universale come avevamo fatto noi.

Simply the best.

Dobromir Karamarinov aveva detto “da” e Sebastian Coe “yes, of course”. Tutti, come la nostra Fidal, volevano gli Europei 2024 a Roma.

L’appoggio delle istituzioni politiche e di quelle sportive era stato un tutt’uno. Ogni forza sul campo stava facendo il suo. Un segnale in controtendenza, di speranza, rispetto … alle mascherine. La vita contro la morte.

Perchè si moriva, allora. Anche nell’organizzata – come nessun altro – Italia. Morivano i medici, morivano pazienti senza alcun sintomo fino a pochi giorni prima.

Sport & Salute come perno dell’organizzazione era già nel nome un forte indice di speranza.

E poi l’offerta presentata. Nessun punto debole.

In campo c’erano tutte le premesse tecniche per giungere ad allestire nell’occasione la più forte Nazionale All time.

E questo era stato reso possibile dalla lungimiranza con cui fin dal 2013, e non senza fatica, era stato messo in campo il processo di decentramento tecnico.

Un motore propulsivo che avrebbe raggiunto il pieno regime, secondo le stime, proprio alla vigilia di questa candidatura (i CES, la Coppa Europa… segnali incontrovertibili).

Già. La Fidal sognava in grande secondo un piano di lavoro efficace. Europei prima e Mondiali poi, per la PIENA REALIZZAZIONE di un’atletica italiana pronta a candidarsi come la più forte espressione del suo sport nel mondo.

Questo avrebbe consentito una ricaduta sul territorio – un “indotto” – in grado di rifocillare le strutture sparse in tutto il Paese, dando alle società il meritato ruolo primario di responsabilità che, per competenza, sono in grado di recitare.

Un indotto anche rivolto al mondo della scuola, da sempre indicato come un serbatoio da cui attingere; e rivolto alle imprese. Insomma, un processo virtuoso “a cascata” era stato prospettato in quei giorni. Un processo che avrebbe fatto leva sul compito primario dello sport, un ruolo che l’atletica si riconosce pienamente. Avere voce in capitolo nell’educazione sportiva rivolta ai giovani.

Capitava a fagiolo, in questo contesto, la proposta del Museo Pietro Mennea, da realizzare all’interno dello stadio dei Marmi che a Pietro è intitolato (perchè un conto è “dirsi amico”, un altro è coltivare l’amicizia).

Fatti, non parole.

Il progetto era ben avviato, godeva di adesioni importanti di persone e di strutture.

Questi pensieri affollavano la mente prima della proclamazione. Vissuta con la fascia del tricolore portata come un primo cittadino. Con orgoglio e vanto.

And the winner is… ROME

Emozione indescrivibile. In Fidal ci si sentiva come lo studente universitario che – preso un 30 e lode – ha subito la voglia matta di dare il prossimo esame. Succede a chi studia…

Suvvia, ora cominciamo a lavorare – era l’imperativo categorica – per portare la lieta novella nelle scuole, per avere uno stadio Olimpico pieno in tutti i giorni di gara, per dare a questo prestigioso evento – non fosse altro come biglietto da visita verso il Continente – il risalto che ha per noi.

Giusto che si sappia come era stato pensato. È poi andata così nelle tappe di avvicinamento? Ci si è prodigati, al vertice, per dare il giusto risalto a questo evento? Si poteva e soprattutto si doveva fare di più?

Il nostro sincero in bocca al lupo va agli atleti, come sempre la parte migliore dello sport.

Foto Grana (Fidal)

Diego Costa

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