“DUPLANTIS meritava di essere re assoluto dell’anno”

Massimo Magnani (World Athletics), ex ct azzurro, dà gli Oscar del 2023. Escono sorprese e grandi conferme. “Un sistema che dà cinque vincitori ex aequo deve essere rivisto”

Se si parla di atletica l’ultimo dell’anno, se ne parla tutto l’anno. Così è il detto, applicato alla Regina dello sport. Eravamo due amici al bar… Parafrasiamo la canzone di Gino Paoli per fare due chiacchiere sulla stagione appena conclusa con una voce più che autorevole dell’atletica italiana e internazionale, espressione di una passione nata da atleta, proseguita da allenatore, continuata da direttore tecnico e oggi da esperto a 360 gradi apprezzato in tutto il mondo: Massimo Magnani. Sembra ieri quando lo conoscemmo, soliti baffi spioventi ma non imbiancati dal tempo, come maratoneta di qualità seguito da quell’istituzione che era il professor Lenzi.
Massimo oggi è tra i delegati tecnici più autorevoli della World Athletics, per conto della quale gira il mondo per verificare l’attendibilità e i livello delle gare su strada e del cross. Ma lo ricordiamo anche ct azzurro.


Magnani, la Federazione Internazionale ha indicato cinque atleti dell’anno, dunque il premio maschile è stato diviso in cinque “fettine”. Vuol dire che non è stato visto tra loro un dominatore della scena assoluto. Per intenderci un Bolt. E’ un bene o un male?
“Dal mio punto di vista – risponde Magnani – una decisione ex aequo non è un bene. Il sistema prescelto doveva individuare un protagonista assoluto. Se dopo un anno intenso come questo, secondo i parametri e i sistemi decisionali che ci sono, non si riesce a dichiarare un dominatore unico della scena, vuol dire che il sistema stesso va rivisto”.


Forse vanno considerati altri aspetti, non solo e squisitamente tecnici?
“Io penso di sì. La tecnica e i risultati, certo, sono preminenti, ma il numero 1 di un’annata di atletica deve essere anche colui che è capace di entrare nell’immaginario collettivo delle persone, un nome che diventi di dominio pubblico universale, come lo sono stati i Carl Lewis o più recentemente gli Usain Bolt”.


Lei, questo dominatore della scena, lo avrebbe indicato?
“Assolutamente sì”.


Chi avrebbe votato?
“Di gran lunga avrei votato Duplantis. Ha perso una sola gara, ma soprattutto ha reso normale qualcosa che fino all’altro ieri era a dir poco straordinario. Volare con la sua continuità oltre i sei metri è davvero eccezionale. Sono convinto che arriverà a essere un sovrano assoluto, ma lui che ha 22 anni alla sua età ha fatto qualcosa finora che neppure il grande Bubka a quell’età era riuscito a fare. Forse paga il fatto di essere “il ragazzo per bene della porta accanto”, cioè poco personaggio, poco eccentrico, molto educato, mai sopra le righe, non saprei. Ma di sicuro è lui quello che meritava a mio dire il titolo di atleta dell’anno”.


A quale regina invece lei darebbe la corona dell’anno?
“Non c’è dubbio che Faith Kipyegon, la kenyana che ha fatto il primato del mondo sui 1500 e sul miglio, sia per completezza l’atleta donna dell’anno, con largo merito. Però…”


Però? “Però, sarà forse per la mia esperienza personale, trovo che l’incredibile tempo di 2 ore 11 minuti e 53 secondi che ha fatto registrare nella maratona di Berlino l’etiope Tigist Assefa sia il risultato che tecnicamente parlando è stato il più eclatante. Perchè di fatto “sposta l’asticella”, apre un mondo nuovo nella specialità. A me che, se chiudevo in 2 ore e 11’ una maratona ero strafelice, nel momento migliore della mia carriera, questo tempone ha fatto venire la pelle d’oca”.


Bene. “Bacchettata” la commissione che ha deciso gli Oscar degli atleti mondiali, veniamo all’Italia. Qui, la scelta è certamente più facile, no?
“Chiaramente sì. Tamberi ha messo d’accordo tutti. Campione del mondo, è l’asso che riconoscono tutti, gode di una popolarità da calciatore di spicco. E la merita. Anche come capitano. Perchè, vedete, quando parla come leader del movimento non è mai banale. Sembra che scherzi, a volte, ma dice cose che pesano. Anche in questo è il n.1” Già. La leggerezza non va confusa con la personalità. Giammarco ha proprio quella leggerezza che poi esprime fisicamente, quando stacca e quando scavalca i
traguardi. “Un capitano vero”.


Veniamo alla Regina della Regina. And the winner, per Magnani is …
“… Nadia Battocletti. Per tutto un insieme di cose che ha fatto. Perchè mi piace la sua umiltà, quella che le ha fatto chiedere scusa di non aver raggiunto una finale mondiale. Non vorrei che suonasse come un ridimensionamento della Palmisano, che a Budapest ha fatto qualcosa di eccezionale, un capolavoro. Ma, senza offesa, la corsa vanta quell’universalità che la marcia, purtroppo, non ha. Per questo dico Battocletti. E siccome quando a Los Angeles danno gli Oscar, certi vincitori ne prendono di più, a lei darei anche quello della rivelazione”.

Che in campo maschile invece dà a…
Mattia Furlani, non c’è dubbio alcuno”.


L’Oscar dell’allenatore?
“Eh, la cosa si fa difficile (Magnani tace e riflette ndr.). Uso l’istinto. Mi viene da fare il nome di Vitaly Petrov. E’ una garanzia assoluta. Dal mazzo riesce sempre a tirare fuori un asso, se lo allena lui”
L’intervista volge alla fine.

C’è un nome – magari poco noto ai più – di un emergente tra coloro che lavorano senza il favore delle telecamere (ci siamo capiti) che stanno facendo molto bene. Un nome secco?
“Dico Paolo Germanetto – Magnani risponde di slancio – responsabile della corsa in
montagna. Con lui questa specialità ha preso un taglio diverso, oggi outdoor running
e trail hanno una dignità maggiore. Insieme a lui dico Tito TIberti. Hanno lavorato in
modo eccellente”.

Diego Costa

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