Se non ci fosse da piangere ci sarebbe da ridere, viene da dire, dopo il ritiro della candidatura di Roma ai mondiali di atletica 2027.
I giorni dei proclami sfarzosi adesso hanno lasciato spazio alle accuse e al gioco molto italiano dello scaricabarile.
Ci sarebbe cosi tanto materiale, a rileggere le parole spese alla vigilia della scelta fatta a Glasgow, da fare le fortune della satira talvolta feroce della fortunata “Fratelli di Crozza“.
La cronaca invece è quella di un esito annunciato. Ma i soliti noti invece di andarci cauti hanno trovato per strada i famosi stivali della favola del gatto e li hanno calzati con disinvoltura in favore dei paparazzi.
I soliti “belli di mamma”? verrebbe da pensare. Solo che per una delibera del ministero, e che delibera, non basta srotolare il red carpet e mettere il vestito buono della Prima Comunione.
E con i grilli parlanti, che ci andavano cauti da subito, piano… attenti… ci vogliono i soldi…
Non si può fare come si fa abitualmente in Consiglio Federale. “Non ti va bene? Ti tolgo la delega, decido io“.
Sono dinamiche di quinta elementare, quando il compagnuccio di classe bello che portava il pallone, ma era scarso, imponeva a tutti la sua legge: in porta?
Io gioco centravanti. Altrimenti non gioca nessuno, perché la palla è mia.
Stavolta la palla la doveva portare chi fin da subito non aveva tutti i soldi disponibili per comprarla.
Del resto una palla di diamante grezzo costa.
Stavolta il carro davanti ai buoi è stato messo troppo, troppo presto.
Non c’erano i fondi, non c’erano i modi, non c’erano i tempi per poter andare avanti. Una prassi ormai. Il ministro federale della semplificazione si sente ferito nell’ onore, dice di aver rispettato le procedure indicate. Ed è cosi, certamente. Però non basta presentare i moduli compilati, convocare il conclave e poi gridare “habemus papam“. Non è cosi che va. Di solito, perché poi ci sono le eccezioni (come per l’assegnazione di una sede per i campionati Assoluti). Seguire un iter, fuori dalla propria giurisdizione, comporta sedersi in una sala di aspetto per rispettare il proprio turno e attendere i passaggi necessari e sufficienti. Una mancanza evidentemente, errore grave, non avere struttura all’ altezza dei successi , non conoscere le procedure, non saper gestire un piano finanziario. L’incapacità di gestione non è una visione distorta da mire politiche o elettorali di chi non la pensa come i pasionari.
Abbiamo seguito la vicenda mettendo in sottofondo “Parole parole” di Mina.
Abbiamo atteso il treno dei desideri (che dei pensieri all’ incontrario va) ben sapendo che al Ministero stavano invece ballando sulle note della the great song of indifference di Bob Geldof (“i dont nind, i dont mind …)
Tutto è andato come doveva andare, con i realisti – fino al giorno prima additati come gufi e scettici – chiamati sul banco degli imputati. Dopo le chiacchiere e i distintivi, ora è il tempo della caccia alle streghe. Secondo una sceneggiatura banale e già vista. Chi siede in platea sbadiglia e si addormenta.
Una vicenda grottesca, tra le molte di questo periodo.
Di concreto dal Palazzo delle decisioni, a cui si chiedono dati certi sulla prevendita dei biglietti di Euro Roma ormai alle porte, è arrivata solo la scelta della mascotte. Sperando per davvero che quella di Ludo non diventi una patologia, a giugno.
Intanto, musica maestro!
Consiglio: ascoltate “Senza i danè‘” di Enzo Jannacci. Uno che aveva capito tutto in largo anticipo.
“Cercate il Bettega senza i dane’/ nuoto sul lastrico, senza i dane’/ siamo sempre al limite…”
Ci vediamo a Pechino. Forse. Chissà…

Diego Costa

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