VITO MELITO, IL CAMPIONE UMILE

Vito Melito, campano di nascita e bolognese di adozione, è stato il primo, grande ultramaratoneta italiano. Il primo, grande protagonista della Cento chilometri del Passatore. La sua scomparsa scelse distanze più brevi, un appuntamento beffardi col destino, da velocista: una visita di routine, o quasi, si tramutò in un verdetto terribile. Un mese di vita.

Vito sapeva domare la stanchezza improvvisa sulle provinciali a cavallo tra la Romagna e la Toscana, conosceva come fanno i signori della fatica le tecniche per recuperare. Fu, se umanamente è possibile esserlo, un campione anche in quei terribili momenti. La vita a volte diventa una gara ma il traguardo speri di non tagliarlo mai. Negli ultimi km terreni, Vito sistemò tutte le sue cose in funzione dei suoi cari, vendette il negozio di articoli sportivi dove in tanti andavano anche solo per conoscerlo, sistemò tutto ciò che potesse – se possibile – alleviare il compito straziante ai cari.

Ricorderò sempre la straordinaria umiltà, propria dei grandi uomini. I baffi che adornavano il viso. Il suo tranquillo eloquio. Se sulla lunga distanza è stato nei suoi anni il più forte di tutti, quella sua assoluta capacità di saper scegliere il giusto ritmo grazie al quale arrivare per primo in Piazza della Signoria o a Faenza dopo aver attraversato l’Appennino tosco romagnolo faceva capolino nel suo raccontare tranquillo, pareva un fiume che scorre verso il mare quando dissertava degli allenamenti, della preparazione, di come – correndo giorno dopo giorno, dosando le sue forze, riusciva a battere tutti, anche chi pareva fisicamente più dotato di lui, che era mingherlino ma compatto.

Quante interviste, alla radio…
Vito come ti stai preparando?
“Beh per ora faccio un lavoro leggero”.
Cioè? Dimmi, cosa hai fatto oggi?
“Sono partito da Rastignano, ho raggiunto Sasso Marconi e poi ho attraversato la città per tornare in via Toscana”. Ah, ecco: questo il lavoro ” leggero”.


La cento km, in fondo, è pure una metafora della vita. Vito ci ha lasciato beffardamente quando il percorso del Passatore diventa assai meno aspro, poco prima di san Cassiano, ben dopo il terribile strappo di Casaglia. Certo c’era un’insidia di un centinaio di metri, ma giunti fin lì, al 74mo chilometro dei cento, cominci a poterti gestire, in discesa, ad apprezzare la brezza, il paesaggio, sebbene lui avesse fatto dello scrupolo, dell’attenzione ai particolari e ai dettagli, la sua forza.

Quest’anno la sua gara prediletta è saltata per via dell’alluvione: voglio immaginarlo allora oggi, come quando si godeva le prime luci dell’alba, il sole che svelava le colline che diventavano pianura, lui, davanti a tutti, padrone del suo corpo come nei giorni migliori, ormai verso il traguardo. Non voglio considerare la crisi improvvisa, prima degli ultimi 20 km. Crisi che lui, come detto, rispettava e sapeva possibile. Eccolo ormai in Romagna, pensa solo alle ultime cose da sbrigare, prima di alzare le braccia al cielo.
Era laureato in filosofia, Vito. Aveva un negozio di articoli sportivi, Vito. Gli annali scrivono fosse avellinese di Ariano Irpino. E pure l’accento lo tradiva. Ma bene farebbe Bologna a salutarlo come uno dei suoi figli più brillanti e più affettuosi. Non credo di averlo mai visto arrabbiato. Lo voglio ricordare così. Dillo in cielo che sai come si fa a correre per andare molto molto lontano.

Ciao Vito!

Diego Costa

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